NEVIANO DEGLI ARDUINI Stefano Rotta A cinque anni sul trattore. A volte il destino lo si disegna con i colori dell'infanzia. Con i profumi che senti solo trebbiando. Afro e Ivo Amos Cavalli sono due fratelli di Campora, noti in larga fetta di Appennino come contoterzisti trebbiatori. Ma dietro di loro non c'è solo lavoro, tradizione, meccanismi agricoli e commerciali: anche, si può dire, un mondo. Che proviamo a dissodare, chiacchierando all'ombra degli alberi della pieve di Sasso. Le origini di questa famiglia affondano intorno all'anno mille. Sul tavolo, i due aprono come un lenzuolo il grande, ramificato, albero genealogico. In qualche modo si viaggia fino alla Corsica per arrivare al sangue di Napoleone, la mamma della nonna di questi signori era cugina del condottiero. Di qui si passa per le scuderie matildiche, per Guardasone, per tanti rivoli che purtroppo non si possono percorrere tutti, ma quante storie, contadini, cardinali, conti... Di una cosa si è certi, i Cavalli trebbiano dal 1890. Questi amorevoli fratelli non sono stati con le mani in mano da piccoli: uno è del 1946, l'altro del '56: ben prima dei primi peli di barba eccoli già dediti alle opere dei campi. I genitori sono Rosa Ferrari, ostetrica, e Ulisse Cavalli, inutile dire, trebbiatore. Con nove anni di guerra alle spalle. «Personaggio molto calmo, di buon senso. Umanità e capacità di lavoro». Dicono: «Era un uomo onesto, ci disse che non era sicuro che noi saremmo diventati onesti come lui». Allora gesti sconsiderati, o prese di posizione di petto, potevano mettere a rischio l'incolumità della famiglia, in quelle micidiali frizioni civili e politiche dell'Appennino e non solo in quegli anni. «Non è riuscito a usare la mietitrebbia per poco». Aggiunge Amos: «La mamma ha vissuto la guerra non per uccidere, ma per salvare delle vite e per mettere al mondo delle creature». Ci raccontano riti e ritmi della trebbiatura prima che ci fossero i potenti macchinoni, prima in generale della generale meccanizzazione dell'agricoltura, una delle più silenziose e reali rivoluzioni italiane della storia contemporanea. Chiediamo cosa volesse dire trebbiare nel Dopoguerra. «Ricordi di festa. C'erano i carri coi covoni, una gran pulver. L'incubo era che si mangiava per due mesi la stessa cosa: bollito di manzo e gallina o coniglio alla cacciatora. Si stava dalle famiglie in cui si trebbiava. E tutte le case da queste parti davano quello. Per colazione zuppa di pane raffermo e sugo. La colazione del trebbiatore». L'aneddoto. «Tempo fa, avendo svariate macchine da trebbiatura e dipendenti giovani, andammo a trebbiare da Renzo Ferrari (il parente del Cardinal Ferrari, già raccontato per queste pagine, ndr). Ai tempi le figlie di Renzo erano giovani e belle. Per diverse vicissitudini si ruppero una dietro l'altra tre mietitrebbie e i loro dipendenti furono costretti a rimanere lì per diversi giorni (a sbafo), forse più per l'interesse verso le figlie che per le macchine rotte. Quando dovettero saldare, Renzo disse: "Siamo sicuri che ne venga a voi e non a me?". Avevamo mangiato forse più dell'intero raccolto». Pittoresco pensare che al posto del trattore, c'era la macchina a vapore. «Andando indietro nella nostra famiglia ritroviamo queste immagini. Da giugno a settembre, le possenti macchine erano protagoniste della vita dei cortili. Ne avevamo diverse. Nel 1971 abbiamo cominciato con la macchina semovente. All'inizio si usavano anche quassù macchinoni da pianura, non autolivellanti». Nel 1984 il capannone con energia rinnovabile. Per lavoro sono stati in Tunisia, nel 1979, dove fecero assistenza al gunitaggio dei tubi di metallo: attraversamento del metano da Capo Bon a Trapani, per il gas algerino, usato tutt'ora. Amos fu meccanico nel cantiere di Euro Disney. «Mi ricordo il fango che c'era! E l'acqua che correva sotto i cingoli della ruspa...». Trasferte anche in Francia, Spagna, Germania. In inverno non si trebbiava certo. In Siberia Ivo è passato per i meno trentacinque, imbacuccato come un astronauta con la barba gelata. Fu là per via della costruzione di un impianto di macellazione suini, da parte di una ditta di Milano. L'episodio. «Nel 1985 si è bruciata una macchina. Era il rovente luglio. Si è bloccata una pompa idraulica, le ciglia hanno surriscaldato la puleggia. Il tubo della nafta si è rotto e ha cominciato a spruzzare carburante sulla puleggia arroventata, così tutto è andato a fuoco. La macchina è rimasta lì, bruciata». Ci regalano una confezione di caffè di Kamut di loro produzione, precisando che non si dice Kamut ma Khorasàn. «Il Kamut è un marchio affibbiato dagli americani». I ricordi più affascinanti sono forse quelli di quel medioevo fra la lunghissima e quasi eterna preistoria agricola, e l'attuale agroindustria. Quando macchine, uomini e animali convivevano, nel Novecento, sulla stessa terra polverosa. «La macchina a vapore non era semovente. Veniva trainata dai buoi». E' sceso il buio su quella stagione. «Della macchina a vapore rimane solo il manometro».